sabato 3 marzo 2012

Il concetto di nazione

Ho approcciato il tema, con un post precedente, in maniera schematica per dare l'idea, su tutto, della distinzione tra "etnonazionalismo" e "nazionalismo civico". Il primo basato sul concetto di sangue, di involontarietà, di etnia, di discendenza comune. Questo si traduce, per le società che lo abbracciano, in atti amministrativi come la cittadinanza basata sul  jus sangunis oggi, e l'imperialismo ieri. Il nazionalismo civico, o l'appartenenza ad una nazione come scelta, ci riporta a qualcosa di più vicino alle democrazie liberali e accettabile.
In questa distinzione troviamo in senso temporale la distinzione e la nascita di quello che possiamo chiamare sentimento nazionale, di appartenenza o identitario. Con l'etnonazionalismo l'appartenenza alla nazione, è precedente alla creazione dello stato ed è funzionale alla sua  preservazione e perpetuazione. Renan lo definisce un plebiscito quotidiano.
Il nazionalismo civico è una scelta libera. Si potrebbe rappresentare come volontà di aggregazione ad una comunità. Una rappresentazione tuttavia slegata dal concetto di stato, di amministrazione, di offerta di servizi e di organizzazione comunitaria. Su cosa dovrebbe basarsi oggi questa narrazione per avere il consenso della maggioranza? Sull'orgoglio? o sui postulati enunciati nel questionario sull'identità? Dovrebbe basarsi su qualcosa di inspiegabile che nasce, religiosamente, nell'intimo ed è difficilmente traducibile anche a parole.
Tale narrazione nazionale potrebbe essere prescindibile nel momento in cui si decida di organizzare un percorso di acquisizione di totale sovranità? Si potrebbe avere l'ambizione o la presunzione di amministrare un territorio senza una narrazione storica comune? Senza una omologazione stereotipata su canoni predefiniti? Senza orgoglio nazionale? Lavorando ed impegnandosi nelle comunità locali e amministrando con umiltà e devozione per amore del futuro e non per orgoglio verso il passato?


lunedì 27 febbraio 2012

Come riusciremo economicamente a......? Economicamente ovvio!

Tutti noi indipendentisti ci siamo sentiti rivolgere da interlocutori la seguente domanda: Come potremmo riuscire economicamente? Come riusciremo a sostentarci? l'Italia ci fornisce servizi e noi, essendo pochi, riusciremo a sostentarci? Possiamo economicamente farcela?
La risposta a cui più mi sono affezionato è di natura logica. Già da qualsiasi manuale di finanza pubblica possiamo trarre qualche risposta. Prima di tutto la relazione servizi offerti-tributi non è di natura matematica ma si fonda su una scelta politica. Come accade in tutto il mondo e come possiamo vedere in europa, la scelta per le spese per servizi è logicamente effettuata in relazione alla volontà politica. Qui vediamo ad esempio come la Grecia si sia deciso di spendere nel 2009 il 3.5% del suo PIL in difesa contro lo 0.5% dell'Irlanda; si vede ad esempio come Cipro investa più del 3% del suo PIL in politiche abitative contro lo 0.8% dell'Italia; come in Danimarca si impiega l'8% del PIL in istruzione contro neppure il 5% dell'Italia. Si vede insomma che si possono fare delle scelte sensate in relazione alla volontà politica più che ad una condizione imposta e fatale.

Considerando il pil della Sardegna con questi rapporti ad oggi quali servizi e a che prezzo impositivo potremmo offrire? Potremmo offrire servizi migliori? Più efficienti? 
Come riescono entità statali meno popolose ad investire di più rispetto all'Italia in settori che sono più coerenti con uno sviluppo sensato? 
Per rispondere negativamente alla prima domanda che ogni interlocutore ci farà, dovremmo lasciare fuori dal conteggio la vertenza entrate (10 miliardi in attivo nei confronti dell'Italia), fondi europei inutilizzati, e risorse esistenti sul territorio sardo e buon senso.
Dovremmo insomma capovolgere la realtà e semmai domandarci come potremmo economicamente riuscire a perseverare in questa condizione. 

sabato 25 febbraio 2012

Biasimo ergo Sum

Le parole di Alex Salmond primo ministro scozzese che in una intervista al The Guardian apostrofa come inconcepibile un intervento scozzese nelle guerre che vedono il regno unito in prima linea mi ispira il triste paragone che riguarda la nostra realtà. Molto spesso ci sentiamo accusati da progressisti italiani innamorati della costituzione, di voler rinunciare ad un'arma potente contro le vessazioni e uno scudo impenetrabile contro le angherie: La costituzione italiana. Niente di più sbagliato. Abbiamo già visto come la difesa costituzionale abbia mostrato la corda per quanto riguarda i diritti dei migranti e quanto poco tenga in considerazione il diritto di cittadinanza degli stranieri. I progressisti italiani, quanto i conservatori, al governo bypassano volentieri i principi ispiratori di molti degli articoli della carta costituzionale che poi sbandierano. Caso emblematico le azioni di guerra nei scenari mondiali. Si accusa quindi chi vorrebbe addirittura rilanciare queste tutele e potenziarle onestamente mettendosi al passo con i tempi, di voler attentare ai principi progressisti e solidali costituzionali. Bene. Se la paura fosse quindi quella di vedere uno stato sardo privo di tutele costituzionali solidali e progressiste, questi avvenimenti, più delle nostre analisi, servirebbero a dissipare ogni dubbio.
Le tutele inviolabili dei diritti dell'uomo verrebbero, nel caso estremo, tutelate dalla corte europea (come accade oggi per l'Italia. Lo ricordo a costo di essere ripetitivo).
 Se lo stato sardo fosse, al pari dell'Italia odierna, uno stato insensibile e lacunoso in quanto a diritti civili, l'Europa interverrebbe.
Ma dal biasimo per il comportamento dell'Italia sentiamo di poterci ispirare.

giovedì 23 febbraio 2012

Diritti fondamentali

La costituzione italiana, a cui tanti progressisti sardi e italiani sono affezionati, ha perso da tempo forza e valore in termini di tutela dei diritti civili e personali. La sentenza  sui respingimenti mette in chiaro quanto eufemistico possa  risultare appigliarsi e appassionarsi alla parte solidale della costituzione oramai inefficace. In pratica vediamo delegato il compito di tutelare i diritti civili dei cittadini all'istituzione europea in questo caso alla carta dei diritti fondamentali dell'unione europea e questo ci da conforto.

lunedì 20 febbraio 2012

Sciovinismo

Scrivo queste poche righe per ricordarmi di quanto la sinistra (SEL) abbia perso i fari e le basi teoriche del proprio agire politico storico. Il discorso in questione rimarca, in maniera elementare, un percorso storico e ideologico fortemente nazionalista che fa tabula rasa da Marx a Gramsci passando per Trotskij. I riferimenti da temino delle medie sui 150 anni dell'unità d'Italia non mi sorprendono ne mi rattristano. Mi fanno giusto pensare che Ogni miserabile babbeo, che non abbia al mondo nulla di cui poter essere orgoglioso, si appiglia all'ultima risorsa per esserlo, cioè alla nazione a cui appartiene: in tal modo egli si rinfranca ed è ora pieno di gratitudine e pronto a difendere con le unghie con i denti tutti i difetti e tutte le stoltezze caratteristiche di quella nazione. A.S.

Identità nazionale: Origini comuni e ingegneria sociale.


Le classi sociali dominanti infatti eserciterebbero sulla gran massa dei lavoratori, anzi sull’intera collettività, una “pressione” culturale tale da determinarne gli indirizzi sociali e politici, appunto quella che Gramsci chiama “Egemonia culturale”. Un gruppo sociale la esercita quando:«(…) sia in grado di imporre ad altri gruppi, attraverso pratiche quotidiane e credenze condivise, i propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione, creando i presupposti per un complesso sistema di controllo».(Gramsci da Quaderni dal carcere)
Da sempre avverso al concetto di nazionalismo ho trovato stimolanti alcuni avvenimenti politici riguardanti la volontà di difesa dell’etnia sarda e il questionario della regione Sardegna sulla identità sarda. Il primo avvenimento mi ha scosso emotivamente e negativamente mentre il secondo mi ha dato l'input per analizzare razionalmente quelli che sono i fattori che vanno a determinare l’identità nazionale e le nazioni in se.
Cerchiamo di definire il concetto di identità nazionale e il concetto stesso di nazione. Tecnicamente la nazione e l’identità culturale possono essere definite in termini di origini comuni, etnici, culturali della quale i membri fanno parte in maniera involontaria da studiosi come Smith A. D. o volontaria come Weber. proprio grazie al contributo di Weber e Renan  vediamo la nazione definita come "scelta volontaria di un gruppo di persone che aspirano ad una comune organizzazione politica”. Nel caso tale gruppo riuscisse a formare uno stato, la lealtà dei membri sarebbe di natura “civica” (in contrapposizione a etnico).
Dall’altra parte c’è la visione dell’appartenenza ad una nazione come non-volontaristica ma “di sangue”. All’interno della categoria che possiamo definire “liberal” o civica troviamo due sotto-categorie: primordialisti e modernisti. Per i primordialisti la creazione delle nazioni va ricercata in tempi immemori, mentre, per i modernisti queste sono state create nei tempi moderni. Queste sono, secondo i realisti, strumentali alla genesi del capitalismo e pure costrutti sociali per gli anti-realisti. Pensatori come Gellner, Hobsbawm e Gramsci ci suggeriscono come i valori identitari e il nazionalismo siano inoculati attraverso il controllo, da parte dello stato, degli strumenti di diffusione della cultura. Anche la diffusione “profana” della cultura come potrebbe essere la lingua volgare, i giornali, televisioni, romanzi viene criticata (Anderson 1983) per artificialità. C'è tuttavia da notare che, la mobilitazione dall’alto per il nazionalismo, ha successo la dove trova una certa risonanza popolare, incontrando terreno fertile in mitologie, tradizioni e costumi tradizionali. Pericolosamente legato al nazionalismo è il concetto di guerra; secondo Mary Kaldor, è la guerra a creare il nazionalismo e non viceversa. Teorici del nazionalismo ricordano che “è solo nello svolgimento comune di gesta eroiche per il bene della patria che una nazione diventa veramente e spiritualmente unita” (Heinrich Von Trietschke).








Referenze
Marary Kaldor. Nationalism and Globalisation.
Jerry Muller. Us and them. The enduring power of ethnic nationalism. “2008
Manfred Steger, Globalization. A Very Short Introduction.
Giovanni Arrighi, Globalization, State Sovereignty, and the 'Endless' Accumulation of Capital
Stanford Encyclopedia of Philosophy: “Sovereignty”.
 Stanford Encyclopedia of Philosophy: “Nationalism”.
Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere.